Perchè foresta delle Cerbaie
La prima domanda, spontanea ma stimolata da un’estensione di superficie, della sola parte forestale, che copre oltre 36 km quadrati [1], potrebbe essere quella relativa al perché non chiamarla la foresta delle Cerbaie (dall’inglese "forests", sinonimo di grandi boschi incolti ), o la selva[2] delle Cerbaie? (infatti non siamo lontani dal come si presenta la foresta di Sherwood o di Fontainebleau agli occhi del visitatore).
La spiegazione è semplice e si lega al termine bosco: è quello più indicato per descrivere e richiamare un luogo che è stato coltivato e usato fin dall’antichità dall’uomo; di uno spazio che è considerato dalla gente un luogo “domestico” perché è vicino alla propria casa e dove è usuale andare a prelevare e a fare la legna per l’inverno, ricavare pali per la vigna e le travi per i tetti; dove estrarre il terriccio grasso (quello scuro) ideale per invasare gli agrumi e i fiori, o il frascame per la lettiera degli animali e prelevare i frutti (castagne, nespole, corbezzoli, funghi) per dare cibo agli uomini e agli animali.
Andare in bosco era uno dei gesti quotidiani, si annoverava tra i mestieri da attendere giornalmente dal fattore, dal colono, dal contadino[3], e che giustappunto in questa zona tradizionalmente è stato anche boscaiolo.
[1] L’area forestale delle Cerbaie è suddivisibile in categorie vegetazionali: il 45% da Boschi misti con cerro, rovere e/o carpino bianco di cui quasi il 6% con presenza di robinia (questa si ritrova in tutte le categorie di bosco); l'8% sono Fustaie di pino marittimo, il 40% sono Aree forestali in fase di ricostituzione accompagnate dalle Altre terre boscate/arbusteti, mentre i rimboschimenti appena lo 0,5% e i Boschi Planiziali lungo gli impluvi e le aree umide sono circa il 5% (fonte: T. Bencini - Carta della vegetazione forestale delle Cerbaie come supporto alla pianificazione di filiera legno-energia, Tesi di Assestamento forestale, Facoltà di Agraria, 2010)
[2] Nell’antichità si indicavano con il termine selve quegli ambiti selvatici da cui si prelevava la legna da ardere e per pali, (es silva palaris), e generalmente di castagno e di faggio.
[3] Il fattore era considerato il direttore dell’azienda agraria, e rappresentava la proprietà nelle relazioni con i fornitori e con le maestranze che attendevano ai lavori di manutenzione dell’azienda; con il contratto agrario di mezzadria (da un termine derivante dal latino tardo che indica "colui che divide a metà"), il proprietario concede al coltivatore (mezzadro o colono, e la sua famiglia è chiamata colonica) la coltivazione del fondo (nelle Cerbaie rappresentato da boschi e campi arati e pascoli), e i prodotti e gli utili dell’azienda agricola (il podere) sono divisi tra loro a metà secondo un atto scritto (contratto agrario). Podere, famiglia colonica, casa rurale e proprietà costituirono quindi la struttura base per la coltivazione del territorio delle Cerbaie, e le corti rurali (piccola aggregazione di 2 o più case, con tratto pavimentato da pietre o mattoni messo a comune – ndr, la corte) rappresentavano i presidi rurali sparsi nel territorio, e raccordati alle frazioni e alle periferie urbane tramite le strade vicinali. Dal 23 settembre 1974 i contratti di mezzadria furono, per legge, trasformati in contratti di affitto, e la stessa legge (legge 15 settembre 1964, n. 756) di fatto sancì la nascita della figura del coltivatore diretto, cioè del lavoratore autonomo impegnato nella coltivazione del fondo, e favori la nascita di un’attività imprenditoriale collegata alla trasformazione e alla valorizzazione dei prodotti agricoli (imprenditore agricolo).
La spiegazione è semplice e si lega al termine bosco: è quello più indicato per descrivere e richiamare un luogo che è stato coltivato e usato fin dall’antichità dall’uomo; di uno spazio che è considerato dalla gente un luogo “domestico” perché è vicino alla propria casa e dove è usuale andare a prelevare e a fare la legna per l’inverno, ricavare pali per la vigna e le travi per i tetti; dove estrarre il terriccio grasso (quello scuro) ideale per invasare gli agrumi e i fiori, o il frascame per la lettiera degli animali e prelevare i frutti (castagne, nespole, corbezzoli, funghi) per dare cibo agli uomini e agli animali.
Andare in bosco era uno dei gesti quotidiani, si annoverava tra i mestieri da attendere giornalmente dal fattore, dal colono, dal contadino[3], e che giustappunto in questa zona tradizionalmente è stato anche boscaiolo.
[1] L’area forestale delle Cerbaie è suddivisibile in categorie vegetazionali: il 45% da Boschi misti con cerro, rovere e/o carpino bianco di cui quasi il 6% con presenza di robinia (questa si ritrova in tutte le categorie di bosco); l'8% sono Fustaie di pino marittimo, il 40% sono Aree forestali in fase di ricostituzione accompagnate dalle Altre terre boscate/arbusteti, mentre i rimboschimenti appena lo 0,5% e i Boschi Planiziali lungo gli impluvi e le aree umide sono circa il 5% (fonte: T. Bencini - Carta della vegetazione forestale delle Cerbaie come supporto alla pianificazione di filiera legno-energia, Tesi di Assestamento forestale, Facoltà di Agraria, 2010)
[2] Nell’antichità si indicavano con il termine selve quegli ambiti selvatici da cui si prelevava la legna da ardere e per pali, (es silva palaris), e generalmente di castagno e di faggio.
[3] Il fattore era considerato il direttore dell’azienda agraria, e rappresentava la proprietà nelle relazioni con i fornitori e con le maestranze che attendevano ai lavori di manutenzione dell’azienda; con il contratto agrario di mezzadria (da un termine derivante dal latino tardo che indica "colui che divide a metà"), il proprietario concede al coltivatore (mezzadro o colono, e la sua famiglia è chiamata colonica) la coltivazione del fondo (nelle Cerbaie rappresentato da boschi e campi arati e pascoli), e i prodotti e gli utili dell’azienda agricola (il podere) sono divisi tra loro a metà secondo un atto scritto (contratto agrario). Podere, famiglia colonica, casa rurale e proprietà costituirono quindi la struttura base per la coltivazione del territorio delle Cerbaie, e le corti rurali (piccola aggregazione di 2 o più case, con tratto pavimentato da pietre o mattoni messo a comune – ndr, la corte) rappresentavano i presidi rurali sparsi nel territorio, e raccordati alle frazioni e alle periferie urbane tramite le strade vicinali. Dal 23 settembre 1974 i contratti di mezzadria furono, per legge, trasformati in contratti di affitto, e la stessa legge (legge 15 settembre 1964, n. 756) di fatto sancì la nascita della figura del coltivatore diretto, cioè del lavoratore autonomo impegnato nella coltivazione del fondo, e favori la nascita di un’attività imprenditoriale collegata alla trasformazione e alla valorizzazione dei prodotti agricoli (imprenditore agricolo).
Le Cerbaie di Fucecchio in una pianta del XVII secolo
Le Cerbaie: i paesaggi della storia
L’area denominata Cerbaie è costituita da una serie di basse colline (raramente superano i 100 metri s.l.m.), dal profilo dolce, che si estendono tra il bacino dell'ex palude di Bientina e il Padule di Fucecchio. L'origine del nome, anticamente attribuita alla presenza di cervi (Cervaia) o alla natura della vegetazione (da cerro), è stata recentemente riferita alla modesta fertilità del suolo (cervara = sodaglia).
Benché segnato da preziose e rare presenze naturalistiche, il paesaggio delle Cerbaie è in larga misura anche il prodotto di interventi e pratiche attuate dall'uomo nel corso di oltre un millennio. Infatti fin dal primo Medioevo sono documentati insediamenti sul settore più meridionale, sulle alture sovrastanti la pianura del Valdarno inferiore, dove la popolazione poteva fruire sia delle risorse offerte dalla foresta (caccia, legname, pascolo, raccolta dei prodotti spontanei del bosco), sia di quelle fornite dalle acque del Padule e del suo emissario, il fiume Usciana (pesca e navigazione). Già prima del Mille si erano sviluppati in quest’area insediamenti come Massarella, Torre, Montefalconi, Pozzo, Santa Maria a Monte, Montecalvoli, mentre altri centri come Altopascio, Galleno, Cappiano nascevano lungo la Via Francigena, la grande direttrice stradale medievale che attraversava qui una delle zone più pericolose, infestata animali selvatici e da briganti che agivano individualmente o in gruppi ben organizzati.
I boschi delle Cerbaie erano allora formati prevalentemente da querceti utilizzati per l’allevamento suino, specialmente nell’alto Medioevo, mentre più tardi – almeno dal XIII secolo - gli spazi aperti erano frequentati da greggi di ovini in transito lungo i percorsi della transumanza dall’Appennino verso la Maremma. Condotti da pastori spesso in greggi formati da migliaia di capi, potevano fermarsi abbastanza a lungo nelle selve delle Cerbaie pagando un’apposita gabella ai Comuni della zona che erano proprietari dei pascoli.
Nel corso di questi secoli furono attuati i primi massicci disboscamenti per far posto alle colture e a un progressivo appoderamento, che si arrestò nella seconda metà del Trecento a causa delle pestilenze e delle guerre. Seguì una fase di abbandono degli insediamenti che in molti casi rimasero deserti, mentre i boschi si espandevano di nuovo invadendo terreni già coltivati.
A questa fase di abbandono fece seguito, a partire dalla metà del Quattrocento, una graduale e lenta ripresa, spesso stimolata dai Comuni del Valdarno che si fecero promotori di una vera e propria "ricolonizzazione" delle Cerbaie. In questo periodo, tra il XV e il XVI secolo le attività furono legate, più che all'agricoltura, all'allevamento brado e transumante degli ovini e allo sfruttamento del bosco, da cui si traeva, oltre al legname da costruzione, anche la materia prima per le navi fabbricate nell'arsenale di Pisa. Queste forme di utilizzazione provocarono importanti trasformazioni ecologiche, causando il diradamento del querceto a vantaggio dei pini marittimi, la cui proliferazione fu avvertita, già nei primi del Settecento, come una pericolosa invasione. Un secolo dopo in tutte le Cerbaie i querceti si erano ormai trasformati in pinete. Alle modificazioni ecologiche si accompagnò, alla fine del XVIII secolo, una vera e propria rivoluzione nella distribuzione della proprietà: per volontà del granduca Pietro Leopoldo i beni pubblici delle Cerbaie furono venduti a privati che estesero così le colture, costruendo nuove case coloniche e ville che caratterizzano tuttora il paesaggio di quest'area. Il mutamento più recente è stato determinato dalla malattia dei pini (matsococcus feytaudi) che ha provocato la scomparsa quasi totale delle pinete e il ritorno del querceto, accanto alla diffusione di nuove specie.
Benché segnato da preziose e rare presenze naturalistiche, il paesaggio delle Cerbaie è in larga misura anche il prodotto di interventi e pratiche attuate dall'uomo nel corso di oltre un millennio. Infatti fin dal primo Medioevo sono documentati insediamenti sul settore più meridionale, sulle alture sovrastanti la pianura del Valdarno inferiore, dove la popolazione poteva fruire sia delle risorse offerte dalla foresta (caccia, legname, pascolo, raccolta dei prodotti spontanei del bosco), sia di quelle fornite dalle acque del Padule e del suo emissario, il fiume Usciana (pesca e navigazione). Già prima del Mille si erano sviluppati in quest’area insediamenti come Massarella, Torre, Montefalconi, Pozzo, Santa Maria a Monte, Montecalvoli, mentre altri centri come Altopascio, Galleno, Cappiano nascevano lungo la Via Francigena, la grande direttrice stradale medievale che attraversava qui una delle zone più pericolose, infestata animali selvatici e da briganti che agivano individualmente o in gruppi ben organizzati.
I boschi delle Cerbaie erano allora formati prevalentemente da querceti utilizzati per l’allevamento suino, specialmente nell’alto Medioevo, mentre più tardi – almeno dal XIII secolo - gli spazi aperti erano frequentati da greggi di ovini in transito lungo i percorsi della transumanza dall’Appennino verso la Maremma. Condotti da pastori spesso in greggi formati da migliaia di capi, potevano fermarsi abbastanza a lungo nelle selve delle Cerbaie pagando un’apposita gabella ai Comuni della zona che erano proprietari dei pascoli.
Nel corso di questi secoli furono attuati i primi massicci disboscamenti per far posto alle colture e a un progressivo appoderamento, che si arrestò nella seconda metà del Trecento a causa delle pestilenze e delle guerre. Seguì una fase di abbandono degli insediamenti che in molti casi rimasero deserti, mentre i boschi si espandevano di nuovo invadendo terreni già coltivati.
A questa fase di abbandono fece seguito, a partire dalla metà del Quattrocento, una graduale e lenta ripresa, spesso stimolata dai Comuni del Valdarno che si fecero promotori di una vera e propria "ricolonizzazione" delle Cerbaie. In questo periodo, tra il XV e il XVI secolo le attività furono legate, più che all'agricoltura, all'allevamento brado e transumante degli ovini e allo sfruttamento del bosco, da cui si traeva, oltre al legname da costruzione, anche la materia prima per le navi fabbricate nell'arsenale di Pisa. Queste forme di utilizzazione provocarono importanti trasformazioni ecologiche, causando il diradamento del querceto a vantaggio dei pini marittimi, la cui proliferazione fu avvertita, già nei primi del Settecento, come una pericolosa invasione. Un secolo dopo in tutte le Cerbaie i querceti si erano ormai trasformati in pinete. Alle modificazioni ecologiche si accompagnò, alla fine del XVIII secolo, una vera e propria rivoluzione nella distribuzione della proprietà: per volontà del granduca Pietro Leopoldo i beni pubblici delle Cerbaie furono venduti a privati che estesero così le colture, costruendo nuove case coloniche e ville che caratterizzano tuttora il paesaggio di quest'area. Il mutamento più recente è stato determinato dalla malattia dei pini (matsococcus feytaudi) che ha provocato la scomparsa quasi totale delle pinete e il ritorno del querceto, accanto alla diffusione di nuove specie.
L'area delle Cerbaie tra i laghi di Bientina e di Fucecchio in una pianta del XVI secolo
La tradizione del contadino boscaiolo
Che il contadino delle Cerbaie sia stato anche un boscaiolo ci sono diversi indizi che lo lasciano far intendere. La dimensione tipica del podere era quella di 14-18 ettari, di cui poco più di due/terzi erano occupati dal bosco. La casa era in posizione più o meno centrale del fondo, e di fronte all’edificio, lungo il prospetto sud, usuale era la presenza di un esteso lastricato, in pietra arenaria o in cotto, ove far maturare le sementi o strizzare le uva o lavorare il legno, e dal quale si accede direttamente alle “terre boscate”. Il contadino doveva saper coltivare e mettere all’ingrasso le terre, ma anche saper curare e far crescere gli alberi. Terre che quindi venivano dissodate dagli alberi e sfruttate a vigneto o oliveto, utilizzando la capacità del bosco di generare suoli fertili, o che all’apposto venivano rimboschiti per produrre legna da opera o da ardere. Esiste quindi una linea del paesaggio, dato dal confine tra terre agrarie e terre forestali, che ha subito mutazione nel tempo. Ma anche una cultura forestale che testimonia come il contadino-boscaiolo della zona tendenzialmente è anche un cacciatore e un fungaiolo, e sa bene quali animali e funghi ricercare in ogni tipo di bosco della zona. E come via sia un chiaro parallelismo tra identità del bosco e ricchezza della fauna e dei frutti del bosco (Un bosco “fertile” è anche un bosco ospitale, ricco in specie animali, oltre che esserlo perché le piante crescono velocemente in ragione dell’abbondante nutrimento presente nel terreno). “Confrontando” le abitudini dell'uomo con quella degli animali selvatici si arriva così ad una sorta di classificazione dei tipo di bosco presenti nella foresta delle Cerbaie e valida a livello di uso locale: si può riconoscere quella del bosco che punge, dominato dalla Robinia ma dove una volta si rinveniva il castagno; il bosco delle grandi foglie (boschi eduli), dominio delle grandi e nobili querce in cui troviamo altrettante specie nobili (tiglio, carpino bianco), e rappresentano i boschi di pastura; i boschi del legno da opera, legati alla presenza del pino (oggi in regressione).
Il Paesaggio Agro-Forestale, appunti di viaggio
Il paesaggio attuale dei boschi delle Cerbaie esprime due dimensioni: quella di essere stati intensamente vissuti e colonizzati dall'uomo, ma altresì sono un luogo naturale ricco in specie vegetali e animali. E il disegno geografico risente chiaramente di questa caratteristica: la casa colonica, quasi sempre con annesso (fienile, ricovero attrezzi), come la villa-fattoria, è posta vicina al bosco, sono quasi contermini (dalla corte si accede direttamente al bosco). Il disegno del paesaggio si compone di una continua alternanza tra campi coltivati (oggi in gran parte incolti) e boschi: cioè tra terre arate per la coltura del grano, l’avena, e più recentemente (in quanto coltura diffusasi dopo la seconda guerra mondiale) dal mais e dal girasole; oppure di terre sode lasciate a prati-pascoli, spesso coperti da medica, destinati all'allevamento del bestiame, ma assai più spesso da variopinti prati fioriti dominati dalle festuche, dalla gramigna, dai papaveri e dal tarassaco.
Fig. 1a,b,c – Estratti dal catasto storico regionale relativi a tre ambiti tipo del XIX° sec (la villa fattoria, la corte, la colonica). (fonte, Catasto Terreni-Archivio Storico di Pisa nr. 52 -Foglio di mappa 1 Castelfranco di Sotto, zona di Serrarigo oggi Serradigo, servizio Castore - Regione Toscana).
Fig. 2 – Foto aerea (2012) relativa alla medesima zona, in cui si apprezza il sistema della viabilità, il territorio costruito, le aree agricole con campi arati e prati-pascoli, e il limite delle aree forestali: tutti è tre i presidi edilizi sono collegati all’area forestale tramite viabilità vicinale, via del Macchione e via di Serrarigo oggi Serradigo (fonte, © Google earth / image © 2013 Digital globe).
Fig. 2 – Foto aerea (2012) relativa alla medesima zona, in cui si apprezza il sistema della viabilità, il territorio costruito, le aree agricole con campi arati e prati-pascoli, e il limite delle aree forestali: tutti è tre i presidi edilizi sono collegati all’area forestale tramite viabilità vicinale, via del Macchione e via di Serrarigo oggi Serradigo (fonte, © Google earth / image © 2013 Digital globe).
Fig. 3 - Il disegno del paesaggio è chiaramente richiamato dalla foto (la valle del Rio Pierdo): le infrastrutture sono le vie di penetrazione, oggi in gran parte asfaltate, che collegano le corti (in foto, in alto a sx, corte Bini) e le coloniche (in foto, in basso a dx, colonica prossima alla fonte di Pierdo) alle strade comunali; il paesaggio agrario dei campi del fondovalle presenta l’orientamento dei campi (e dei fossi )ortogonale al rio e la marginatura dei boschi è condizionata dal passaggio del Rio Pierdo, che avviene sul lato dx della valle da Nord-ovest a Sud-est; sull’altopiano, i campi sono orientati in parallelo con le vie di penetrazione o con il margine del bosco, margine che appare frastagliato e meandriforme in conseguenza della relazione storica tra terre dissodate (e coltivate a vigneto o frutteto), terre incolte (prato pascolo) o arate (grano), e la conseguente modifica della posizione nello spazio delle cortine forestali (fonte, immagine 2010 © Google earth / image © 2013 Digital globe).
Parole chiave, approfondimenti
La caccia. La presenza di folti boschi in tutta l’area delle Cerbaie favorì l’esercizio della caccia fin dall’alto Medioevo. Tuttavia solo marginalmente tale attività fu esercitata libera, essendo generalmente sottoposta a restrizioni prima da parte di signori laici o ecclesiastici, poi dai Comuni, infine dalle leggi dello stato mediceo, lorenese e infine italiano. Tradizionalmente, fin dal primo Medioevo, la caccia era in primo luogo privilegio della nobiltà che la praticava anche come esercizio preparatorio per la guerra. Ai fini commerciali e alimentari la caccia più produttiva era praticata non a livello individuale, ma collettivo ed era basata, come nella pesca, su tecniche che utilizzavano il principio della trappola: si posavano panie, specialmente lungo i corsi d’acqua, o reti in cui i volatili restavano intrappolati. Oppure, specialmente per la caccia ai caprioli assai diffusi nelle Cerbaie, venivano edificate “siepi”, sbarramenti chiusi in cui gli animali erano spinti fino a restare intrappolati. La caccia costituì a lungo un’importante risorsa per le comunità locali che traevano guadagni dall’appalto di tale attività a privati. A iniziare dal XVI secolo il Graduca impose una bandita in tutta l’area delle Cerbaie che sottoponeva l’esercizio della caccia a rigide regolamenti.
Il legname Lo sfruttamento dei boschi per trarne legname da costruzione e da ardere è documentato fin dal primo Medioevo. Proprio la presenza del bosco favorì presso le comunità locali che si dividevano i boschi delle Cerbaie lo sviluppo di particolari manifatture, che necessitavano di combustibile, come le fornaci da mattoni e da stoviglie, ampiamente attestate a Fucecchio tra Medioevo e età moderna. Per sfruttare agevolmente il legname delle Cerbaie la Repubblica fiorentina e poi i Medici crearono tra XV e XVI secolo, a Ponte a Cappiano, un polo manifatturiero realizzandovi una sega ad acqua e una ferriera. La prima, in particolare, aveva il compito di preparare il legname destinato all’arsenale di Pisa per la costruzione delle galere granducali. Dalle foreste delle Cerbaie venivano tratte ogni anno centinaia di querce che via Usciana e poi attraverso l’Arno raggiungevano Pisa. Con il diffondersi della pineta, a iniziare dal Seicento, il pino fu ampiamente utilizzato per costruire le fondamenta di edifici realizzati su terreni in pianura, resi instabili dalla presenza di acque. Non bisogna infine dimenticare la presenza di castagni che venivano tutelati e “allevati” tra Medioevo ed età moderna.
I pascoli e la transumanza. Anche i pascoli rappresentarono una delle principali risorse delle foreste delle Cerbaie fin dal primo Medioevo. I documenti altomedievali ci parlano di silvae, appezzamenti di terreni boschivi a querceto, utilizzati per nutrire i porci. Più tardi, in età comunale, sappiamo che i pascoli erano affittati dai Comuni sia a pastori locali, sia a uomini che conducevano greggi di ovini dalla Garfagnana o dall’Appennino verso la Maremma e che spesso si fermavano nelle Cerbaie per far pascolare migliaia di pecore. L’affitto dei pascoli diventò, specialmente nei secoli XV e XVI una delle principali risorse finanziarie per le comunità locali, che spesso rimasero coinvolte in annosi conflitti per il controllo delle pasture.
La raccolta. Per quanto si tratti di un’attività indubbiamente minore, la raccolta dei frutti spontanei del bosco poteva garantire la sopravvivenza per i ceti più poveri. Se il disboscamento poteva essere attuato solo dietro licenza del Comune, la raccolta di legna morte e del sottoprodotto del bosco (scopa, funghi, erbe) era concessa in particolari periodi dell’anno e segnalata a suon di tromba, in seguito al quale tutti potevano entrare nei boschi e procedere alla raccolta. Una particolare attività, praticata nel Medioevo soprattutto da donne, era costituita dalla raccolta delle erbe tintorie utilizzate per i tessuti.
La Via Francigena
La più importante direttrice stradale del Medioevo attraversava per intero l’area delle Cerbaie in direzione Nord Sud superando prima il fiume Usciana (anticamente Gusciana o Arme) a Ponte a Cappiano e poi l’Arno a Fucecchio dove, nell’XI secolo, esisteva l’unico ponte tra Firenze e Pisa. Documentata anche come strada romea perché percorsa dai pellegrini che andavano a visitare Roma, dopo aver toccato Lucca e Altopascio, sede di un importante ospedale fin dall'XI secolo, si addentrava nei boschi delle Cerbaie, prima di superare l'Arno a Fucecchio per dirigersi quindi verso Siena attraverso la Valdelsa. La presenza di folti boschi faceva di questa zona uno dei passaggi più difficili e rischiosi per i viaggiatori che potevano incontrare animali selvatici e bande di briganti. L'originario percorso francigeno in questo territorio è solo in parte coincidente con l'attuale Via Romana Lucchese, avendo subìto nel tempo importanti varianti, anche se i centri toccati dalla strada sono rimasti quelli menzionati nell'itinerario di Sigerico di Canterbury (X secolo) o del sovrano francese Filippo Augusto (XII secolo): oltre a Fucecchio (Arno Bianco), Cappiano (da identificare quasi certamente con Arno Nero) e infine Galleno. In quest'ultima località, presso la chiesa parrocchiale, a occidente rispetto all'attuale Via Romana Lucchese, è tuttora visibile per alcune centinaia di metri un fondo stradale selciato corrispondente all'antico percorso della Via Francigena. Più a Sud, seguendo quello che oggi è appena un sentiero, seguiva grosso modo l'attuale confine tra le province di Firenze e di Pisa (in parte l'odierna Via delle Sette Querci), raggiungendo la località di Poggio Adorno (anticamente Rosaiolo); quindi scendeva in direzione di ponte a Cappiano, dove già intorno al Mille esisteva un ponte che permetteva ai pellegrini di superare l'Usciana. Da qui proseguiva in direzione di Fucecchio.
I briganti delle Cerbaie
Già nel primo Medioevo si ha notizia di atti di brigantaggio che avvenivano nelle Cerbaie da parte di malintenzionati che, individualmente o in gruppo, approfittavano dei folti boschi per derubare impunemente i malcapitati viaggiatori che percorrevano la Via Francigena e altre strade della zona. Già al 1136 risale una prima notizia secondo la quale Cappiano, sarebbe stato "un covo di briganti che commettevano iniqui saccheggi sui viandanti”. Ma in epoca più tarda anche novellisti, come il Sercambi o il Villani attestano la pericolosità del viaggio in questa zona, narrando gli inganni e gli agguati di cui restavano vittime gli incauti viandanti. Del resto le cronache giudiziarie del trecento riportano numerosi episodi di cui erano protagonisti non solo briganti di strada, ma anche esuli e esponenti di fazioni nemiche dei governi locali, che assalivano mercanti e pellegrini sia per procurarsi di che vivere, sia per danneggiare i castelli di cui erano nemici. Il brigantaggio continuò a costituire un fattore di pericolo fino ad epoche più recenti, come dimostrato dalle imprese del bandito popolarmente noto nella prima metà dell’Ottocento col nome di Orcino e che, secondo una tradizione, avrebbe nascosto un tesoro presso il paese di Orentano.
Le parole chiave costituiscono altrettanti approfondimenti dei termini indicati nella sezione "I paesaggi" e " I Paesi delle Cerbaie".
Il legname Lo sfruttamento dei boschi per trarne legname da costruzione e da ardere è documentato fin dal primo Medioevo. Proprio la presenza del bosco favorì presso le comunità locali che si dividevano i boschi delle Cerbaie lo sviluppo di particolari manifatture, che necessitavano di combustibile, come le fornaci da mattoni e da stoviglie, ampiamente attestate a Fucecchio tra Medioevo e età moderna. Per sfruttare agevolmente il legname delle Cerbaie la Repubblica fiorentina e poi i Medici crearono tra XV e XVI secolo, a Ponte a Cappiano, un polo manifatturiero realizzandovi una sega ad acqua e una ferriera. La prima, in particolare, aveva il compito di preparare il legname destinato all’arsenale di Pisa per la costruzione delle galere granducali. Dalle foreste delle Cerbaie venivano tratte ogni anno centinaia di querce che via Usciana e poi attraverso l’Arno raggiungevano Pisa. Con il diffondersi della pineta, a iniziare dal Seicento, il pino fu ampiamente utilizzato per costruire le fondamenta di edifici realizzati su terreni in pianura, resi instabili dalla presenza di acque. Non bisogna infine dimenticare la presenza di castagni che venivano tutelati e “allevati” tra Medioevo ed età moderna.
I pascoli e la transumanza. Anche i pascoli rappresentarono una delle principali risorse delle foreste delle Cerbaie fin dal primo Medioevo. I documenti altomedievali ci parlano di silvae, appezzamenti di terreni boschivi a querceto, utilizzati per nutrire i porci. Più tardi, in età comunale, sappiamo che i pascoli erano affittati dai Comuni sia a pastori locali, sia a uomini che conducevano greggi di ovini dalla Garfagnana o dall’Appennino verso la Maremma e che spesso si fermavano nelle Cerbaie per far pascolare migliaia di pecore. L’affitto dei pascoli diventò, specialmente nei secoli XV e XVI una delle principali risorse finanziarie per le comunità locali, che spesso rimasero coinvolte in annosi conflitti per il controllo delle pasture.
La raccolta. Per quanto si tratti di un’attività indubbiamente minore, la raccolta dei frutti spontanei del bosco poteva garantire la sopravvivenza per i ceti più poveri. Se il disboscamento poteva essere attuato solo dietro licenza del Comune, la raccolta di legna morte e del sottoprodotto del bosco (scopa, funghi, erbe) era concessa in particolari periodi dell’anno e segnalata a suon di tromba, in seguito al quale tutti potevano entrare nei boschi e procedere alla raccolta. Una particolare attività, praticata nel Medioevo soprattutto da donne, era costituita dalla raccolta delle erbe tintorie utilizzate per i tessuti.
La Via Francigena
La più importante direttrice stradale del Medioevo attraversava per intero l’area delle Cerbaie in direzione Nord Sud superando prima il fiume Usciana (anticamente Gusciana o Arme) a Ponte a Cappiano e poi l’Arno a Fucecchio dove, nell’XI secolo, esisteva l’unico ponte tra Firenze e Pisa. Documentata anche come strada romea perché percorsa dai pellegrini che andavano a visitare Roma, dopo aver toccato Lucca e Altopascio, sede di un importante ospedale fin dall'XI secolo, si addentrava nei boschi delle Cerbaie, prima di superare l'Arno a Fucecchio per dirigersi quindi verso Siena attraverso la Valdelsa. La presenza di folti boschi faceva di questa zona uno dei passaggi più difficili e rischiosi per i viaggiatori che potevano incontrare animali selvatici e bande di briganti. L'originario percorso francigeno in questo territorio è solo in parte coincidente con l'attuale Via Romana Lucchese, avendo subìto nel tempo importanti varianti, anche se i centri toccati dalla strada sono rimasti quelli menzionati nell'itinerario di Sigerico di Canterbury (X secolo) o del sovrano francese Filippo Augusto (XII secolo): oltre a Fucecchio (Arno Bianco), Cappiano (da identificare quasi certamente con Arno Nero) e infine Galleno. In quest'ultima località, presso la chiesa parrocchiale, a occidente rispetto all'attuale Via Romana Lucchese, è tuttora visibile per alcune centinaia di metri un fondo stradale selciato corrispondente all'antico percorso della Via Francigena. Più a Sud, seguendo quello che oggi è appena un sentiero, seguiva grosso modo l'attuale confine tra le province di Firenze e di Pisa (in parte l'odierna Via delle Sette Querci), raggiungendo la località di Poggio Adorno (anticamente Rosaiolo); quindi scendeva in direzione di ponte a Cappiano, dove già intorno al Mille esisteva un ponte che permetteva ai pellegrini di superare l'Usciana. Da qui proseguiva in direzione di Fucecchio.
I briganti delle Cerbaie
Già nel primo Medioevo si ha notizia di atti di brigantaggio che avvenivano nelle Cerbaie da parte di malintenzionati che, individualmente o in gruppo, approfittavano dei folti boschi per derubare impunemente i malcapitati viaggiatori che percorrevano la Via Francigena e altre strade della zona. Già al 1136 risale una prima notizia secondo la quale Cappiano, sarebbe stato "un covo di briganti che commettevano iniqui saccheggi sui viandanti”. Ma in epoca più tarda anche novellisti, come il Sercambi o il Villani attestano la pericolosità del viaggio in questa zona, narrando gli inganni e gli agguati di cui restavano vittime gli incauti viandanti. Del resto le cronache giudiziarie del trecento riportano numerosi episodi di cui erano protagonisti non solo briganti di strada, ma anche esuli e esponenti di fazioni nemiche dei governi locali, che assalivano mercanti e pellegrini sia per procurarsi di che vivere, sia per danneggiare i castelli di cui erano nemici. Il brigantaggio continuò a costituire un fattore di pericolo fino ad epoche più recenti, come dimostrato dalle imprese del bandito popolarmente noto nella prima metà dell’Ottocento col nome di Orcino e che, secondo una tradizione, avrebbe nascosto un tesoro presso il paese di Orentano.
Le parole chiave costituiscono altrettanti approfondimenti dei termini indicati nella sezione "I paesaggi" e " I Paesi delle Cerbaie".